Perché parlare di articolo 18 non basta

Il dibattito sul Jobs Act, un progetto che nelle intenzioni del Governo dovrebbe riformare profondamente il mercato del lavoro – ridefinendo funzioni e organizzazione dei servizi per l’impiego, rimodulando ed estendendo i sussidi di disoccupazione, razionalizzando il sistema complesso dei contratti di lavoro -  sembra in questi ultimi giorni essersi ridotto ad un unico argomento, quell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che, ciclicamente, torna al centro del dibattito politico e sindacale del nostro paese. Le opposte tifoserie si scontrano sui giornali, nei talk show televisivi, nei dibattiti tra giuslavoristi: da un lato vi sono coloro che considerano tale strumento un architrave della civiltà del diritto del lavoro, senza il quale si cadrebbe in uno stato di barbarie dei rapporti di lavoro; da l’altro vi sono coloro che considerano il superamento dell’attuale formulazione dell’articolo 18 come un’esigenza imprescindibile per modernizzare il mercato del lavoro italiano e creare nuova occupazione. In mezzo, tra le opposte fazioni sono collocati i “come” e i “perché”. Perché ha senso parlare di modifica dell’articolo 18 soltanto in un’ottica complessa che sia tesa ad un cambio di paradigma, per il quale l’attenzione si sposta dalla protezione del posto di lavoro alla protezione della persona. Innanzitutto perché l’attuale sistema non consente di garantire il posto di lavoro di tutti, e perché gli ammortizzatori sociali tutelano in modo profondamente diseguale le differenti categorie di lavoratori. Ma come? Magari come accade in altri paesi, nei quali l’azienda che licenzia ha l’obbligo di sostenere da un lato il reddito del lavoratore (con un sistema di ammortizzatori sociali che garantiscono la quasi totalità della precedente retribuzione fino a tre anni), da l’altro la ricollocazione dello stesso, attraverso il ricorso ad agenzie specializzate e facendosi carico dei costi di adeguati percorsi formativi. E da parte sua, il lavoratore ha l’obbligo di percorrere tale strada, pena la perdita del sussidio stesso.

Allora ha senso parlare di riforma dell’articolo 18, ma soltanto se contestualmente si indicano i come e i perché, ossia se si discute di una nuova articolazione degli ammortizzatori sociali, di percorsi di formazione efficaci (davvero finalizzati al ricollocamento lavorativo) e di riorganizzazione dei servizi per l’impiego.

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