Perché il contratto di ricollocazione da solo non basta

Lo scorso 4 marzo sono stati emanati i primi due Decreti Attuativi del Jobs Act, sulla base della Legge Delega 183/2014, relativi rispettivamente all'attuazione del “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti” e al “riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e ricollocazione dei lavoratori disoccupati”. 
Il primo schema del Decreto Attuativo riguardante il “Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”, successivamente modificato, prevedeva – all’articolo 11 – la disciplina del “Contratto di ricollocazione”, nel quale era previsto, soltanto per “il lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo (…) il diritto di ricevere dal Centro per l’impiego territorialmente competente un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione, a condizione che effettui la procedura di definizione del profilo personale di occupabilità”. 
Tali presupposti sono stati realizzati con il Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22, il quale – all’articolo 17 – regola il Contratto di ricollocazione: a differenza del primo schema legislativo sopra citato, la nuova tipologia non è applicabile solo ai lavoratori licenziati illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo, ma a qualsiasi soggetto in “stato di disoccupazione” – secondo la previsione dell'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n.181 – il quale lavoratore ha, conseguentemente, diritto a “ricevere dai servizi per il lavoro pubblici o dai soggetti privati accreditati un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro attraverso la stipulazione del contratto di ricollocazione (…) a condizione che il soggetto effettui la procedura di definizione del profilo personale di occupabilità”.
Nello specifico, il Contratto di ricollocazione prevede:
a) il diritto del soggetto a una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte del soggetto accreditato;
b) il dovere del soggetto di rendersi parte attiva rispetto alle iniziative proposte dal soggetto accreditato;
c) il diritto-dovere del soggetto a partecipare alle iniziative di ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali coerenti con il fabbisogno espresso dal mercato del lavoro, organizzate e predisposte dal soggetto accreditato.
A seguito della definizione del profilo personale di occupabilità, al soggetto è riconosciuta una somma denominata «dote individuale di ricollocazione» spendibile presso i soggetti accreditati. L'ammontare della dote individuale è proporzionato in relazione al profilo personale di occupabilità, e il soggetto accreditato ha diritto a incassarlo soltanto a risultato occupazionale ottenuto.
Il soggetto decade dalla dote individuale nel caso di mancata partecipazione alle iniziative previste o nel caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro ai sensi dell'articolo, pervenuta in seguito all'attività di accompagnamento attivo al lavoro. Il soggetto decade altresì in caso di perdita dello stato di disoccupazione.
Il nuovo contratto di ricollocazione dovrebbe essere un nesso centrale della riforma del mercato del lavoro: il pieno e corretto funzionamento di tale strumento è indispensabile se si vuole transitare da un sistema che preservi il posto di lavoro a un sistema che garantisca politiche di supporto e assistenza intensiva alla famiglia e ai lavoratori nella fase di passaggio da un’occupazione a un’altra, integrando in modo sinergico il sostegno al reddito con azioni di reinserimento lavorativo efficaci. Tuttavia, con la regolazione definita del Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22, il governo non ha avuto la capacità realizzare pienamente le premesse della Legge Delega, ossia stabilire un legame forte fra ammortizzatori sociali, reinserimento lavorativo e riforma dei servizi per il lavoro.
Il provvedimento del governo contiene alcuni aspetti di innovazione, innanzitutto relativamente all’introduzione della “condizionalità” del trattamento, ossia alla previsione che la dote sia vincolata alla partecipazione del lavoratore alle iniziative proposte dal soggetto accreditato e alle iniziative di ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali coerenti con il fabbisogno espresso dal mercato del lavoro, organizzate e predisposte dal soggetto accreditato.
Tale meccanismo - che in Italia è sempre mancato nella gestione delle assicurazioni contro la disoccupazione – è previsto dal Decreto anche con riferimento alla Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASpI), sebbene la regolazione della condizionalità per quest’ultima sia stata rimandata all’emanazione di un successivo decreto: la valutazione del legame tra i due aspetti e la loro regolazione diacronica, fa emergere il rischio di una riforma che si realizza parzialmente, a causa di un approccio frammentario e privo di una visione sistemica. Affinché il processo riformatore sia completo, è necessario da un lato che il principio della condizionalità sia esteso a tutte le tipologie di sostegno al reddito – ivi compresi CIGS e mobilità – dall’altro che vi sia una gestione unitaria di queste ultime e delle politiche attive del lavoro, con una forte integrazione anche con i percorsi di formazione e di riqualificazione professionale.
Un altro aspetto non regolato dal Decreto, tuttavia necessario – affinché il principio della condizionalità sia effettivamente efficace - è la definizione delle modalità di risoluzione delle controversie. A tale proposito, una proposta articolata ed efficace era presente nel disegno di legge 1481/2009 di Pietro Ichino, il quale prevedeva l’attribuzione al giudice del lavoro, anche in via cautelare d’urgenza, della funzione di dirimere le controversie che possono insorgere nella fase di esecuzione del contratto di ricollocazione.
Un ulteriore aspetto innovativo ravvisabile nella regolazione del Contratto di ricollocazione contenuta nel Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22, riguarda l’attribuzione ai soggetti privati - e non solo ai servizi pubblici per l’impiego - della possibilità di gestione del percorso di ricollocazione del lavoratore, introducendo il principio che la discriminante non deve essere tra natura pubblica e privata dei servizi, ma tra i servizi efficienti e quelli che non lo sono, o lo sono di meno.
Una differenza fondamentale tra le procedure di ricollocazione utilizzate nei paesi scandinavi – nei quali tali sistemi sono in vigore fin dagli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso – e il dispositivo adottato in Italia, riguarda la compartecipazione delle imprese ai costi della ricollocazione del lavoratore, la quale non è prevista nei provvedimenti emanati dal Governo. Nel Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22, si è scelto di non percorrere la strada di coinvolgere le imprese nel meccanismo di ricollocazione del lavoratore e nella condivisione degli stessi costi della dote, scaricando l’intero costo sulle finanze pubbliche: tuttavia, il finanziamento nel futuro del Contratto di ricollocazione appare incerto, e di conseguenza la stessa “forza propulsiva” di tale strumento è in dubbio. Al fine di gravare meno sui conti pubblici, e dare maggiore centralità a tale strumento, sarebbe stato opportuno attribuire alle imprese – in cambio dell’esenzione dal controllo giudiziale sui licenziamenti per motivi economico-organizzativi – non solo il costo di un congruo indennizzo commisurato all’anzianità lavorativa del lavoratore licenziato – aspetto regolato nel Jobs Act – ma anche l’obbligo di farsi carico di un’assicurazione complementare contro la disoccupazione, finalizzata al finanziamento della dote. In tale modo si sarebbe potuto realizzare davvero un sistema a “obblighi corrispettivi”: 
  • a carico del datore di lavoro l’obbligo della dote finalizzata - mediante un’agenzia dotata della competenza necessaria – all’assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione e della riqualificazione professionale mirata agli sbocchi effettivamente disponibili; 
  • a carico del lavoratore l’obbligo di dedicare alle attività necessarie per la ricollocazione, sotto la direzione di un tutor designato dall’impresa, tutto il tempo impegnato fino a quel momento nella prestazione lavorativa: tempo pieno o tempo parziale. 
Il meccanismo di ricollocazione del lavoratore ha quindi necessità di differenti pilastri per essere efficace e restare tale nel tempo, e non tutti sono presenti nel decreto attuativo recentemente emanato dal Governo. Aldilà dell’aspetto sopra descritto, relativo alla compartecipazione dell’impresa ai costi della dote – il quale non deve essere però scambiato per un mero argomento finanziario, potendo avere invece portata strutturale sull’efficacia stessa del percorso di ricollocazione - è necessario sottolineare come ancora il governo non abbia emanato il decreto attuativo relativo alla riforma dell’organizzazione dei servizi per l’impiego e delle politiche attive, in particolare con riferimento all’Agenzia Federale Unica. Tale sentiero di riforma è senz’altro connesso alla riforma costituzionale del Titolo V attualmente all’esame del Parlamento, tuttavia è necessario sottolineare come senza una profonda riorganizzazione dei servizi per l’impiego pubblici qualsiasi riforma del mercato del lavoro rischi di perdere incisività.
In particolare, il complesso meccanismo della ricollocazione necessita di una qualità ed efficacia che i servizi per l’impiego pubblici non sono in grado di garantire, sia per la carenza di strumenti adeguati, sia per mancanza di professionalità adeguate. Le problematiche vanno oltre i SPI, sono più di carattere sistemico, e investono anche i servizi per il lavoro privati, e riguardano principalmente i seguenti aspetti: 
  • La mancanza di strumenti efficaci di riconoscimento e certificazione delle competenze condivisi a livello nazionale. 
  • L’incapacità dei servizi per l’impiego – per loro limiti strutturali - e delle agenzie per il lavoro – perché si tratta di attività in parte estranee alla loro mission – di articolare le iniziative di politica attiva per il lavoro secondo una logica “multidimensionale”, ossia di attivare canali di reinserimento lavorativo per tutte le principali tipologie di soggetti disoccupati. 
La riforma dei servizi per l’impiego costituisce uno dei nodi centrali di una riforma del lavoro efficace e moderna: se si vuole capovolgere il mercato del lavoro nel nostro paese, passando da un sistema che preserva il posto di lavoro a un sistema che tuteli il lavoratore, occorre realizzare una catena che veda indissolubilmente legati la flessibilità in entrata e in uscita, ammortizzatori sociali solidi, politiche attive efficaci e servizi per l'impiego orientati al ricollocamento dei lavoratori.
Tutti gli aspetti citati necessitano di una profonda rivisitazione, e richiederebbero un intervento sistemico e non delle correzioni parziali e slegate dal contesto. Per raggiungere questo obiettivo è però necessario capire che la prima e vera precarietà per un lavoratore è la mancanza di competenze, e come tale condizione sia molto spesso determinata da un sistema di istruzione, formazione di inserimento al lavoro che non è in grado di guidare la persona alla crescita della propria occupabilità: questo è lo scenario, immutato, denso di criticità, nel quale il Contratto di ricollocazione si inserisce.
Senza interventi in grado di porre rimedio a tali limiti strutturali del nostro mercato del lavoro, qualsiasi intervento finalizzato a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro – sia questo il Contratto di ricollocazione, la Garanzia Giovani, o qualsiasi altro strumento – rischia di essere destinato al fallimento, o al raggiungimento di risultati molto minori rispetto a quelli previsti dal legislatore o necessari.

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